Diciamoci la verità: in questo 2020 complicato oltre ogni stima, di webinar e meeting a distanza abbiamo fatto l’indigestione. Ragione di più per affrontare l’Evento Annuale 4sustainability®, organizzato gioco-forza a distanza, con la giusta dose di realismo e immaginazione. Il 26 novembre, ci hanno ripagato i numeri e l’interesse manifestato da addetti ai lavori e non a forza di mail, condivisioni sui social, richieste di partecipazione fino all’ultimo minuto prima della diretta.

Reset Fashion. A New Era – questo il titolo dell’ottava edizione dell’Evento – ha registrato un picco di 268 collegamenti nominali, a significare che, dietro tanti device, le persone erano in realtà più d’una. Il dato ancora più eloquente, quello che ci ha reso più felici, è però la media costante di partecipazione durante le oltre due ore dell’Evento, mai calata sotto le 230 unità. Segno che gli interventi in scaletta hanno riscosso l’attenzione del pubblico convincendolo che sì, meritava restare fino in fondo.

 

LA FOTOGRAFIA: UN SISTEMA DA RIPENSARE

Dopo i saluti di apertura di Francesca Rulli, la parola è passata ad Hakan Karaosman, autore della ricerca Reset Fashion: fashion’s responsible and efficient transformation realizzata dall’University College Dublin in collaborazione con Process Factory per esplorare gli effetti del Covid-19 sui vari anelli della filiera moda. La ricerca, presentata in anteprima mondiale, ha evidenziato una diffusa attitudine all’individualismo, ovvero la tendenza delle imprese a riversare sull’anello sottostante i timori legati al perdurare della pandemia, facendosi guidare dalle sole logiche del profitto.

A questa interruzione della catena del valore e dei rapporti di solidarietà che dovrebbero attivarsi proprio nei momenti di crisi, fa da contraltare la capacità di molti fornitori di puntare su creatività e innovazione per sopravvivere e addirittura prosperare nelle difficoltà.

Decisamente illuminante è poi la distinzione evidenziata dalla ricerca fra brand reattivi e brand proattivi. Meglio i secondi, capaci di rispondere alla pandemia con atteggiamenti collaborativi e propositivi nei confronti della filiera rivelatisi già nel breve periodo come i più efficaci, non solo in termini di contenimento degli effetti negativi, ma anche di apertura di nuove opportunità di sviluppo sostenibile.

Se i brand e le aziende della catena di fornitura e le altre parti coinvolte adotteranno comportamenti coerenti con questo tipo di indicazioni – ha detto Hakan Karaosman – potremo davvero voltare pagina e costruire insieme un sistema della moda più resiliente, efficiente e responsabile”.

 

LA RISPOSTA: IL MARCHIO DI GARANZIA 4SUSTAINABILITY®

Il marchio della moda sostenibile 4sustainability® è la risposta di Process Factory alla fotografia scientificamente rigorosa del sistema moda proposta dalla ricerca dell’University College Dublin. Francesca Rulli e Giuditta Passini hanno presentato ufficialmente la nuova versione evidenziando i suoi elementi distintivi.
Cos’è, in estrema sintesi, 4sustainability®?

  • Un marchio registrato che attesta l’adesione delle aziende del fashion & luxury alla roadmap per la sostenibilità.
  • Un cruscotto di sei iniziative distinte e integrabili per la conversione all’uso di materiali a minore impatto (Materials), per l’eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive dai processi produttivi (Chem), per la tracciabilità dei processi e il monitoraggio della filiera (Trace), per la crescita del benessere organizzativo (People), per l’uso consapevole delle risorse (Planet), per lo sviluppo di pratiche di riuso, riciclo e design sostenibile (Recycle).
  • Un sistema unico di garanzia conforme alle principali iniziative e certificazioni internazionali per la sostenibilità del comparto moda.
  • Un solo sistema di implementazione invece di tanti, riconosciuto come tale dal mercato.
  • Un metodo e una piattaforma a supporto per realizzare progetti concreti.
  • Per i brand, un’evidenza certa della sostenibilità della filiera.
  • Per la filiera, uno strumento di gestione e comunicazione

 

GLI INDICATORI: METODO E LINGUAGGIO COMUNI PER LA TRASFORMAZIONE

Oltre 160 aziende rappresentative della migliore filiera italiana hanno già avviato progetti di sostenibilità con 4sustainability®”, ha spiegato Francesca Rulli. “Circa 15 marchi internazionali, fra brand singoli e gruppi a cui fanno capo più brand, hanno inserito tra i loro sistemi di qualifica e monitoraggio della filiera, il Protocollo 4sustainability®. Process Factory ha formato oltre 400 Sustainability e Chemical Manager, concentrandosi sulla crescita delle competenze interne alle imprese per prepararle ad affrontare le sfide del mercato con la necessaria consapevolezza. Questi numeri sono la prova che la trasformazione dei modelli di business in ottica sostenibile non è una chimera. Insieme possiamo farcela davvero, ma bisogna agire con metodo, condividere obiettivi, linguaggio e strumenti misurando costantemente i risultati”.

 

IL DIBATTITO: PROSPETTIVE DIVERSE E COMPLEMENTARI

Il panel discussion che ha caratterizzato l’ultima parte dell’Evento ha offerto in tal senso conferme importanti, anche per il peso dei suoi protagonisti. Sull’opportunità di resettare il sistema moda, la giornalista e contributing editor di D – La Repubblica Chiara Tronville ha sentito Anna Bassoni, Group Quality Director di Dainese; Heinz Zeller, Principal Sustainability di Hugo Boss; Chiara Morelli, Group Operations Sustainability Manager di Kering; Matteo Ward, CEO and Co-Founder di Wrad; Francesco Botto Poala, COO di Successori Reda; Federico Gualtieri, Presidente del Consorzio Promozione Filati; Giorgio Ravasio, Country Manager Italia di Vivienne Westwood.

Se Francesco Botto e Anna Bassoni si sono soffermati in particolare sull’importanza di portare a bordo dei processi la digitalizzazione e le competenze innovative in modo da passare dall’impegno all’azione sistemica, l’elemento comune è la coincidenza di visione emersa dal dibattito sull’opportunità per brand e aziende della filiera di collaborare fra loro onestamente, costruendo rapporti autentici di partnership.

Molto deciso, al riguardo, è stato l’intervento di Federico Gualtieri, che ha parlato di chiusure ed egoismi – in piena coerenza, peraltro, con la ricerca del professor Karaosman – dando valore alle logiche di aggregazione.
Le grandi rivoluzioni – va detto – hanno una genesi lunga e la sostenibilità come pratica diffusa di business si delinea a tutti gli effetti come una rivoluzione. La pensa così Giorgio Ravasio, che rispondendo a Chiara Tronville ha sottolineato la necessità di radicare la sostenibilità nella cultura e nell’organizzazione aziendale prima ancora di farne una strategia operativa.
Sul “come” si è espresso Matteo Ward, convinto assertore della formazione, del design sostenibile e dell’investimento in conoscenza e innovazione quali strumenti per rendere la conversione alla sostenibilità un processo irreversibile.

Tutti d’accordo, dunque? Con sfumature diverse e riflessioni complementari, ma la risposta è sì: tutti d’accordo sul bisogno di ripensare il sistema moda e sulle modalità per farlo, conservando i valori positivi già costruiti e modificando quelli non coerenti con la realizzazione di progetti condivisi di sviluppo sostenibile.