Tra le sostanze chimiche utilizzate tradizionalmente nei processi produttivi della moda, i PFAS o PFC sono spesso sul banco degli imputati. Ridurre l’uso dei PFAS e delle altre sostanze chimiche pericolose non è tuttavia banale, perché sottopone le aziende alla ricorsa continua del miglior compromesso possibile tra performance e sostenibilità. Un supporto importante viene da protocolli d’implementazione come CHEM 4sustainability mirati all’implementazione di un sistema responsabile di Chemical Management e allineati alle migliori metodologie globali come ZDHC.

I PFAS – noti anche con il vecchio acronimo PFC – sono stati usati per anni come Durable Water Repellent (DWR) e cioè trattamenti per abbigliamento outdoor, attrezzature e calzature in grado di respingere l’acqua impermeabilizzando i materiali e più in generale nella moda.

La scienza ne propone l’eliminazione per una serie di motivazioni oggettive. Eccone alcune.

  • I PFAS persistono nell’ambiente più a lungo di qualsiasi altra sostanza artificiale, disperdendosi sia attraverso l’acqua sia attraverso l’aria.
  • Il loro rilascio provoca la contaminazione delle falde acquifere e di conseguenza dell’acqua potabile e le tecniche convenzionali di purificazione dell’acqua non sono spesso efficaci.
  • Alcuni PFAS si accumulano negli organismi viventi e la concentrazione aumenta man mano che si risale la catena alimentare (processo di biomagnificazione).
  • I PFAS si legano alle proteine, “immagazzinandosi” nel sangue o in organi come il fegato.

Il vantaggio e insieme il limite di questi composti poli- e per-fluorurati, in sostanza, è l’estrema resistenza della lega fra carbone e fluoro che li caratterizza e che li rende di fatto non degradabili. A causa della loro struttura chimica, in altre parole, i PFAS si accumulano nell’ambiente rendendo la contaminazione quasi irreversibile. Ciò che è più grave è che entrano nella catena alimentare con gravi effetti per la salute umana. Tra gli altri:

  • Aumento del livello di colesterolo
  • Compromissione del sistema immunitario
  • Aumento del rischio del cancro
  • Disturbi all’ormone tiroideo
  • Diminuzione degli effetti della vaccinazione
  • Impatti sul peso dei nascituri

L’impegno dei brand sui PFAS

La risposta della moda è stata quella di ripiegare su composti a struttura più corta come i C6, meno persistenti ma comunque pericolosi. E citiamo in primis le aziende di abbigliamento outdoor che dei PFAS a struttura lunga, la più tenace, fanno largo impiego.

Più responsabile è la scelta di chi sta provando a rinunciare del tutto all’uso dei PFAS, investendo tempo e risorse nello sviluppo di materiali e tecniche alternative. È il caso di Patagonia, nota azienda americana di abbigliamento sportivo e outdoor, che si è pubblicamente impegnata a eliminare questi composti dalla sua filiera, comunicando i progressi fatti e invitando anche i consumatori a supportare il cambiamento attraverso comportamenti d’acquisti più consapevoli.

Il brand informa che i capi impermeabili per cui non è cruciale un trattamento DWR – il 90% circa del totale – vengono prodotti già oggi senza uso di PFAS. Resta un 10% per cui ancora non esiste una soluzione alternativa, nulla almeno che garantisca le performance indispensabili per alcuni specifici indumenti sportivi. Patagonia ne dà correttamente evidenza, citando le ricerche in atto per sviluppare trattamenti a minore impatto.

Tra performance e sostenibilità

I pericoli non vengono solo dai PFAS, ovviamente. Ogni vestito che indossiamo, ogni paio di scarpe, ogni accessorio moda… viene prodotto con un largo impiego di sostanze chimiche, che non sempre sono innocue o sostenibili. Dei processi per impermeabilizzare i materiali abbiamo già detto. Ma la chimica viene usata anche per ottenere la solidità dei colori o eseguire una lunga serie di trattamenti.

Gli ftalati, per esempio, sono impiegati per conferire flessibilità e morbidezza alle stampe gommate: a contatto con la pelle, alla lunga, possono però alterare l’equilibrio ormonale dell’organismo. Noti cancerogeni sono il cloro – utilizzato per “legare” moltissimi coloranti – e il cromo, che serve per fissare il colore sul tessuto. La formaldeide è un gas irritante per gli occhi e le vie respiratorie usato per fissare i pigmenti nella fase di stampa e anche come conservante nella fase di confezionamento. Fortemente allergizzante è anche il nichel: occhio a jeans e capi scuri o molto colorati perché è probabile che ne contengano in quantità significative!

Ci fermiamo mai a riflettere, come consumatori, sulle conseguenze dell’utilizzo massivo di queste sostanze? Quanto impattano gli scarichi delle fabbriche nel mare in cui peschiamo o nei fiumi da cui attingiamo l’acqua per irrigare i campi? E quali danni provoca alla nostra salute mangiare il cibo che proviene da questi campi?

Le normative alzano l’asticella della responsabilità

Negli ultimi anni, sulla chimica sostenibile il legislatore si è attivato come mai in precedenza, avendo come fine primario la tutela della salute dell’uomo, dell’ambiente e della biodiversità. Citiamo, a titolo d’esempio, il piano 2021-2024 dell’EPA – Environmental Protection Agency, l’agenzia federale americana per la protezione dell’ambiente e della salute umana, che dà indicazioni tassative per:

  • investire in ricerca e innovazione per aumentare la comprensione delle esposizioni e tossicità dei PFAS per la salute umana e l’ambiente, sviluppando interventi e soluzioni efficaci di contrasto.
  • perseguire un approccio globale e proattivo idoneo a evitare che i livelli di penetrazione dei PFAS nell’aria, nel suolo e nell’acqua siano tali da impattare negativamente sulla salute umana e sull’ambiente.
  • approfondire e accelerare la decontaminazione da PFAS a tutela della salute umana e degli ecosistemi ambientali.
    eliminare i PFAS da tutti i prodotti entro il 2030.

Altre iniziative indirizzate all’eliminazione totale dei PFAS da prodotti e processi produttivi:

  • Il 13 gennaio 2023, le autorità di Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia hanno presentato all’ECHA, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, una proposta per vietare l’intera classe di sostanze chimiche PFAS, con entrata in vigore del divieto tra il 2026 e il 2027.
  • Un gruppo di oltre 40 ONG ha sollecitato ai paesi dell’Unione Europea a vietare i PFAS in prodotti come imballaggi alimentari, cosmetici e abbigliamento entro il 2025 e in termini assoluti entro il 2030.
  • Il Canada vieta già oggi la produzione, l’uso, la vendita e l’importazione di PFOS (sottogruppi specifici dei PFAS, n.d.a.) e di prodotti contenenti PFOS.
  • Il Giappone vieta l’importazione di diversi prodotti contenenti sostanze correlate ai PFOA, un’altra tipologia di PFAS. L’elenco comprende vari prodotti tessili con proprietà idro e oleo repellenti, agenti di rivestimento idro e oleo repellenti, eccetera.

Un sistema responsabile di Chemical Management

Il cinismo consapevole di cui il sistema moda si è reso responsabile in passato sta lentamente ma inesorabilmente cedendo il passo a politiche di sostenibilità che vedono spesso brand e filiera impegnati a lavorare insieme su obiettivi condivisi. Fra questi c’è la buona chimica, che si sostanzia nell’eliminazione delle sostanze chimiche pericolose per la salute e l’ambiente dai vari cicli produttivi dell’industria della moda. Quelle stesse sostanze di cui negli ultimi cinquant’anni si è fatto un uso massiccio perché poco costose e molto performanti.

Su questo fronte, la maggiore iniziativa globale è Zero Discharge of Hazardous Chemicals (ZDHC), un tavolo di lavoro divenuto poi Fondazione a cui aderiscono i maggiori brand internazionali del fashion & luxury, le aziende più avanzate della filiera, produttori chimici, laboratori di analisi, enti di ricerca, associazioni e società come Process Factory specializzate nel supportare il processo di conversione delle imprese alla buona chimica.

Il protocollo CHEM 4sustainability

Il caso di Patagonia ci dice quanto complesso sia, questo processo, da realizzare con le sole proprie forze, non fosse altro che per la mancanza delle conoscenze, del metodo, degli strumenti… Nasce su queste basi il protocollo 4s CHEM, nucleo originale del sistema multidimensionale di implementazione e garanzia 4sustainability che accompagna la transizione alla sostenibilità della filiera moda. E le dimensioni in oggetto, oltre alla chimica, sono tutte quelle individuate dalla Global Fashion Agenda come prioritarie per lo sviluppo sostenibile.

4s CHEM, più esattamente, supporta la creazione di un sistema di chemical management lungo l’intera filiera di trasformazione mirato a eliminare dai cicli produttivi le sostanze chimiche pericolose attraverso la metodologia ZDHC e facendo riferimento alla sua MRSL. L’acronimo sta per Manufacturing Restricted Substances List, un elenco di sostanze chimiche soggette a restrizioni d’uso proprio per via della loro pericolosità. Un elenco di cui fanno parte anche i PFAS.

Le aziende che adottano 4s CHEM s’impegnano fra le altre cose a eliminare l’uso diretto di tali sostanze, optando per prodotti chimici che escludano l’uso intenzionale delle sostanze comprese nella MRSL. La metodologia applicata prevede procedure di qualifica dei fornitori, attività di training interno alle aziende, revisione dei processi produttivi, sostituzione dei prodotti chimici negli inventari e nelle ricette di produzione, misurazione delle acque di scarico per valutare il livello di sostenibilità dei processi produttivi e il loro impatto sulla salute umana e sull’ambiente.

È un metodo strutturato e credibile per dimostrare al mercato il proprio impegno per la riduzione d’impatto ambientale”, sottolinea Francesca Rulli, CEO di Process Factory e ideatrice del framework 4sustainability. “Sono tantissime le aziende che stanno ottenendo performance interessanti attraverso il protocollo 4s CHEM, contribuendo alla pulizia delle falde e alla protezione degli ecosistemi in maniera concreta, misurabile e verificata. La sezione Aziende 4s del sito 4sustainability ne riporta un’ampia selezione, indicando l’attivazione anche delle altre iniziative del sistema. Un sistema – lo ricordo – fondato su metodologie globali riconosciute per la riduzione degli impatti attraverso un approccio locale e collaborativo.
Sostituire le sostanze chimiche pericolose con alternative più sostenibili permette di avviare percorsi eccellenti di innovazione di processo e di prodotto, contribuendo alla formazione di un pensiero critico orientato alla costruzione di un futuro migliore
”.