È legge la decisione con cui lo Stato della California ha sancito il divieto di produrre e commercializzare articoli tessili e di abbigliamento contenenti PFAS, sostanze note anche come forever chemical perché non si decompongono, arrivando ad accumularsi nel nostro sangue e nei nostri organi con gravi rischi per la salute. Alle novità sul fronte legislativo – anche in Europa il vento sembra soffiare a favore… – si accompagna l’impegno di ZDHC per l’eliminazione di PFAS delle sostanze chimiche nocive dai cicli produttivi, secondo un approccio sistemico ben incarnato dal protocollo CHEM 4sustainability.

La California dice stop ai PFAS, una classe di migliaia di sostanze chimiche pericolose per il comprovato legame con malattie respiratorie e renali, infertilità e danni allo sviluppo fetale, cancro.
Largamente impiegati per conferire ai tessuti e ai capi d’abbigliamento caratteristiche apprezzate come l’idrorepellenza, la resistenza alle macchie e al fuoco, entro il 2025 i PFAS dovranno essere messi da parte, al netto delle deroghe previste per alcuni usi finali critici. Ora, considerando che se fosse una nazione sovrana, la California rappresenterebbe secondo la Banca Mondiale la quinta economia del globo, le implicazioni per l’ambiente e per il business non sono di poco conto…

Già nel 2021, il governatore della California aveva firmato un provvedimento per vietare l’uso di PFAS nella produzione di molti articoli destinati all’infanzia o con cui i bambini possono comunque entrare in contatto. Il combinato delle due decisioni la dice lunga sugli orientamenti dell’Assemblea Generale della California in materia di sostenibilità e transizione ecologica. Un orientamento ben radicato anche nello Stato di New York, dove sia l’Assemblea che il Senato hanno liberato un disegno di legge (SB S6291A) che vieta la vendita e la distribuzione di capi di abbigliamento contenenti PFAS, definiti dalla stessa proposta come “sostanze chimiche aggiunte intenzionalmente” per svolgere una data funzione.

I danni per la salute

Le fonti di esposizione ai PFAS sono innumerevoli. Dal consumo di acqua potabile e alimenti contaminati all’inalazione di aria contaminata all’aperto e di polvere nei locali chiusi, al contatto con abiti impermeabilizzati, con prodotti per la cura della pelle e cosmetici che li contengano, con materiali elettronici…

Siamo tutti esposti, ma a correre i rischi maggiori sono i lavoratori impiegati per esempio nelle produzioni tessili e della moda, caratterizzate come ben sappiano da filiere globali e dispersive dove i controlli sono anche più difficili. Solo l’anno scorso, il colosso cinese del fast fashion Shein aveva dovuto far fronte a un’indagine della Canadian Broadcasting Corporation che rilevava nei suoi indumenti livelli elevati di piombo, ftalati e PFAS. Gli attacchi si sono ripetuti quest’anno sui social, ma Shein non è affatto un caso isolato.
I brand più avveduti corrono ai ripari, anche perché i rischi per la salute accertati o fortemente sospettati aumentano di pari passo con l’evoluzione della ricerca sulle sostanze chimiche tossiche e interferenti endocrini. Già ora, l’esposizione ai PFAS è correlata a diverse malattie: cancro, infertilità, ipercolesterolemia, diabete, compromissione del sistema immunitario, fra le altre… E più aumenta la consapevolezza nei consumatori, più sono consistenti i danni economici e reputazionali per i brand “cattivi”.

La situazione in Europa

Dal 2020, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Danimarca stanno lavorando a una proposta congiunta di restrizione dei PFAS in tutti i Paesi dell’Unione Europea, da realizzarsi attraverso riforma dell’Allegato XV al REACH, il regolamento dell’Unione Europea n.1907 del 2006 concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (in inglese Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of Chemicals, da cui l’acronimo REACH). L’auspicio è che la proposta possa entrare in vigore già nel 2025, con tempistiche analoghe a quelle stabilite in California.

La Commissione Europea, a sua volta, ha incluso nella sua nuova Chemicals Strategy for Sustainability (CSS, 2020) una serie di azioni, tra cui l’eliminazione graduale dei PFAS in tutti gli usi non essenziali.

La MRSL di Zero Discharge of Hazardous Chemicals

Le leggi, si sa, hanno un iter complicato e dovendo spesso contemplare esigenze diverse propongono soluzioni di compromesso che le rendono attaccabili per definizione. Tra i punti di debolezza del REACH, per esempio, citiamo la natura dei limiti imposti all’uso di determinanti sostanze, molto rigorosi nel caso dei prodotti che escono dalle fabbriche con sede in Europa, meno incisivi per tutto quello che arriva da fuori. E il problema sta anche nei meccanismi di controllo alla dogana, ovvero nella facilità di aggirarli.

Non tutto è nelle mani nel legislatore, naturalmente. I PFAS entreranno nella versione 3.0 della MRSL (Manufacturing Restricted Substances List) di ZDHC, un nutrito elenco di sostanze chimiche il cui uso in produzione è vietato o fortemente limitato in ragione della loro tossicità o nocività per la salute umana e l’ambiente. A stilarla e aggiornarla nel tempo è il tavolo di lavoro – divenuto poi Fondazione – Zero Discharge of Hazardous Chemicals, a cui aderiscono brand internazionali del fashion & luxury, aziende della filiera, produttori chimici, laboratori di ricerca, associazioni e società di consulenza. Oltre 160 realtà coalizzate per raggiungere l’obiettivo comune di “ripulire” i processi dell’industria della moda. Se un brand si è unito a ZDHC, significa che sta quantomeno affrontando il problema. Magari ha appena acceso il motore, magari sta viaggiando spedito sulla corsia di sorpasso… Di certo ha imboccato la carreggiata giusta.

Un grazie, per questo, dobbiamo dirlo all’associazione ambientalista Greenpeace, che nel 2011 scosse le coscienze con il lancio della campagna Detox, squarciando il velo sull’utilizzo diffuso della chimica tossica e nociva nella moda. ZDHC nasce a novembre di quello stesso anno come risposta operativa all’ultimatum di Greenpeace di azzerare l’uso delle sostanze pericolose. Operativa perché basata su una roadmap concreta fondata su tre fasi distinte.

Input

Mentre gli approcci tradizionali si focalizzano sul prodotto finito, ZDHC propone una lista di sostanze chimiche il cui uso è vietato già nei processi necessari a realizzarli. La MRSL, appunto.

Processo

Input più sicuri fanno la differenza se sono utilizzati nel modo giusto”, si legge sul sito di ZDHC. “Applicando buone procedure e migliori pratiche, i risultati sono più ecosostenibili e i processi più efficienti”.

Output

Per verificare se gli interventi su input e processi sono andati a buon fine, si vanno a monitorare indicatori come le emissioni in atmosfera o la qualità delle acque reflue e dei fanghi. I relativi dati sono pubblicati su una piattaforma aperta che consente ai brand di valutare gli impatti reali dei propri fornitori premiandone l’impegno o supportando investimenti in innovazione mirata evidentemente ad abbandonare l’uso di certe sostanze.

Il protocollo 4s CHEM per l’implementazione della MRSDL ZDHC

Il protocollo 4s CHEM che costituisce il primo nucleo del framework 4sustainability integra fin dal suo primo sviluppo l’approccio ZDHC, supportando sempre più aziende della filiera del fashion & luxury nella graduale eliminazione delle sostanze chimiche incluse nella sua MRSL. Le aziende che adottano 4s CHEM offrono una garanzia concreta di utilizzare prodotti chimici conformi a questa lista di restrizione e quindi cicli di produzione più puliti. Il che significa anche acque di scarico più pulite e prodotti più sostenibili.

“Alcune imprese – sottolinea Francesca Rullisono molto avanti in questo percorso, al punto da aver già meritato il livello di implementazione Excellence. È evidente che quante più aziende seguiranno l’esempio, tanto più efficace sarà la spinta sui formulatori chimici a innovare per proporre al mercato sostanze alternative idealmente a impatto zero”.