Il 20 febbraio, il Consiglio UE ha definitivamente approvato le nuove norme contro il greenwashing. Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepirle. A marzo, attesa al voto anche la Direttiva gemella sui Green Claim.

Prosegue a passo di marcia la guerra dichiarata dall’Europa al greenwashing. Dopo il voto del 17 gennaio scorso dell’Europarlamento, il Consiglio UE ha dato il via libera definitivo alla pubblicazione in Gazzetta della Direttiva Empowering Consumers for the Green Transition. Il suo scopo è vietare l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti, migliorare l’etichettatura dei prodotti e rendere più visibili le informazioni sulla garanzia.

In virtù del provvedimento – che modifica la direttiva sulle pratiche commerciali sleali (UCPD) e la direttiva sui diritti dei consumatori (CRD), adattandole alla transizione verde e ai principi dell’economia circolare – una serie di condotte discutibili legate all’ambientalismo di facciata e alla cosiddetta obsolescenza precoce dei beni avranno vita più difficile, con l’effetto di tutelare i consumatori e metterli nelle condizioni di svolgere un ruolo più attivo nella transizione verde.

Direttiva Greenwashing: stop alle affermazioni ambientali generiche

Le nuove regole puntano a rendere l’etichettatura dei prodotti più chiara e affidabile, vietando l’uso di affermazioni generiche come “ecologico”, “naturale”, “biodegradabile”, “climaticamente neutro” o “eco” senza il supporto di documenti e certificazioni che ne dimostrino la veridicità e la fondatezza.

La direttiva sul Greenwashing è strettamente correlata a un’altra proposta della Commissione Europea oggi al vaglio delle istituzioni comunitarie: quella sui Green Claim che definirà più nello specifico criteri e condizioni per il loro corretto utilizzo.

Anche l’uso delle etichette di sostenibilità sarà da ora in avanti regolamento. Aggiungiamo noi “finalmente”, visti il caos generato dal loro moltiplicarsi in assenza di dati utili a qualsivoglia comparazione. Nell’Unione Europea, in futuro, saranno consentite solo etichette di sostenibilità basate su sistemi di certificazione ufficiali creati o approvati da autorità pubbliche e questa è una novità davvero rilevante.

Altro elemento di novità è il divieto di affermare che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente se questi risultati dipendono dal ricorso a sistemi di compensazione delle emissioni. Un esempio tra tanti? Le compagnie aeree non potranno più vendere voli “climaticamente neutrali” e incoraggiare i consumatori a compensare le emissioni pagando di più.

Le nuove norme vieteranno le affermazioni infondate sulla durata dei prodotti: non sarà possibile, per dirne una, sostenere che una lavatrice durerà 5.000 cicli di lavaggio se questo non è vero in condizioni normali.  Vietato anche incoraggiare la sostituzione dei materiali di consumo prima del necessario (es. l’inchiostro della stampante) o presentare i prodotti come riparabili quando non lo sono.

Le informazioni sulla garanzia, inoltre, dovranno essere più visibili e sarà creata una nuova etichetta armonizzata per dare maggiore risalto ai prodotti che hanno un periodo di garanzia esteso.

La posizione degli addetti ai lavori

Sul fronte della durata e della riparabilità dei prodotti, si sono espressi gli attivisti dell’European Environmental Bureau (EEB), che plaudono la direttiva come forma di contrasto al greenwashing, ma accusano l’UE di scarsa incisività sul tema dell’obsolescenza precoce, la pratica commerciale che limita intenzionalmente la vita di un prodotto per favorirne la sostituzione.

Secondo Biljana Borzan, relatrice del provvedimento durante l’esame all’Europarlamento e nei negoziati con il Consiglio, la direttiva sul greenwashing rappresenta, ciò nonostante, una vittoria per tutti. “Ci discosteremo dalla cultura dell’usa e getta, renderemo il marketing più trasparente e combatteremo l’obsolescenza prematura dei beni”, ha detto. “Le persone potranno acquistare prodotti più durevoli, riparabili e sostenibili grazie a etichette e pubblicità affidabili. Cosa ancora più importante, le aziende non potranno più ingannare le persone dicendo che le bottiglie di plastica vanno bene perché l’azienda ha piantato alberi da qualche parte o dire che qualcosa è sostenibile senza spiegare come e perché”.

Gli esperti di moda sostenibile sono i primi a dispiacersi delle difficoltà di reperire informazioni utili sui contenuti di sostenibilità dei prodotti. Pensiamo ai vestiti o agli accessori moda: secondo Francesca Rulli, CEO di Process Factory e ideatrice del sistema 4sustainability per la transizione sostenibile del fashion & luxury, se va bene il cartellino riporta qualche marchio di certificazione che il consumatore medio non conosce e che non lo aiuta dunque a cogliere la differenza fra un capo e un altro. “Più spesso – aggiunge – troviamo affermazioni vaghe o equivoche o addirittura nulla. Io stessa entro in crisi, quando faccio acquisti, perché mi mancano gli elementi per scegliere li capi con le caratteristiche ambientali e sociali che vorrei. Chi lo ha prodotto e dove? Come faccio a sapere se quello che c’è scritto in etichetta è verificato? Oggi non posso che affidarmi alla reputazione del brand o alle informazioni di tipo tecnico pubblicate online… Faccio domande, ma rimango spesso delusa. E l’assurdo è che certi capi avrebbero requisiti più che soddisfacenti di sostenibilità: peccato che i dati a supporto siano indisponibili”.

Green Claims, a che punto siamo

Uno studio realizzato nel 2020 dalla Commissione Europea su un campione di 150 claim ha rilevato che il 53,3% conteneva informazioni fuorvianti o infondate sui “vantaggi” ambientali dei prodotti e che il 40% non presentava evidenze a supporto. Bene, dunque, che anche la Direttiva sui Green Claims proceda nel suo iter approvativo, con la posizione espressa dalle due Commissioni per il Mercato Interno e per l’Ambiente. L’obiettivo dell’Europarlamento è arrivare a un voto in plenaria prima delle elezioni europee, in modo da permettere ai nuovi eletti di portare il provvedimento alle fasi successive partendo da una posizione giuridicamente valida.

Nel testo presentato a marzo 2023, la Commissione UE aveva stabilito quanto segue:

  • le aziende dovranno fornire prove scientifiche della veridicità delle asserzioni green, prendendo in esame l’intero ciclo di vita del prodotto
  • le etichette ambientali – oltre 230, secondo le stime di Bruxelles – dovranno essere veritiere, trasparenti e verificate da terze parti
  • le evidenze scientifiche delle asserzioni green dovranno essere trasparenti e disponibili per tutti via QR code sul sito web aziendale
  • non saranno più ammesse asserzioni o etichette che utilizzano un punteggio aggregato dell’impatto ambientale complessivo del prodotto in termini di biodiversità, uso dell’acqua
  • le aziende che commercializzano i propri prodotti ricorrendo ad affermazioni ambientali non comprovate potrebbero essere sanzionate con multe pari ad almeno il 4% delle entrate o esclusioni fino a un anno dalla partecipazione ad appalti pubblici o sussidi

Le proposte delle Commissioni

Il lavoro delle Commissioni ha generato una serie di proposte aggiuntive a integrazione o modifica della proposta di direttiva sui Green Claims.

30 giorni per la verifica di parte terza

I deputati hanno concordato che le aziende dovranno sottoporre ad approvazione i green claim, prima di poterle utilizzare. A provvedere entro 30 giorni, saranno dei verificatori accreditati.

Semplificazioni per i prodotti meno complessi

La Commissione europea dovrebbe stilare un elenco di indicazioni e prodotti meno complessi che potrebbero beneficiare di una verifica semplificata nei tempi e nella forma.

Nodo sostanze pericolose

Secondo le Commissioni, è da valutare se le indicazioni ecologiche sui prodotti contenenti sostanze pericolose debbano essere consentite.

Esclusione per le microimprese

Si ritiene che le microimprese dovrebbero essere escluse dai nuovi obblighi e che le PMI dovrebbero avere un anno in più per adeguarsi alle nuove norme.

Carbon offset

Confermato il divieto dell’Unione di fare dichiarazioni ecologiche basate esclusivamente sui cosiddetti schemi di compensazione delle emissioni di anidride carbonica (Direttiva Empowering Consumers for the Green Transition). L’aggiunta che si suggerisce di introdurre riguarda la possibilità per le aziende di citare gli schemi di compensazione se le stesse aziende hanno già ridotto al massimo le loro emissioni e di utilizzare dunque questi schemi solo per le emissioni residue. I crediti di carbonio degli schemi devono essere certificati così come stabilito dal Carbon Removals Certification Framework.

Annunci comparativi

Per le indicazioni comparative – quelle, cioè, che mettono a confronto due prodotti diversi – andrebbero previste regole speciali, anche se i due prodotti sono dello stesso produttore. Le aziende, per esempio, dovrebbero dimostrare di aver utilizzato gli stessi metodi per confrontare gli aspetti rilevanti dei prodotti.

Miglioramento

Le due Commissioni ritengono che le affermazioni sul miglioramento dei prodotti non possano basarsi su dati risalenti a oltre cinque anni prima.

Cosa ci aspetta domani

Le due direttive gemelle contro il greenwashing riusciranno davvero a cambiare le cose? La reperibilità delle informazioni sulla sostenibilità dei prodotti moda (e non solo) sarà tale da favorire acquisti più consapevoli?
Io credo che grazie alle normative in arrivo molte informazioni utili riuscirò finalmente ad averle: in alcuni casi facilmente, attraverso claim chiari e scientificamente validati, in altri con giusto qualche domanda in più. Potrò sapere – spiega Rulli – se i materiali utilizzati riducono l’impatto e in base a quale evidenza; se le filiere sono monitorate e producono in modo responsabile e se i brand le supportano; se i cicli avvengono senza utilizzo di sostanze chimiche tossiche e nocive… E così via. Tutte informazioni la cui visibilità in etichetta o sul sito del produttore o sui social o altrove mi permetteranno di fare acquisti essendo coerente con i miei valori”.

È chiaro che brand e filiera dovranno presidiare sempre meglio la tracciabilità, la raccolta, la verifica e la trasparenza dei dati, realizzando progetti strutturati e verificabili. 4sustainability rappresenta in questo senso un supporto a livello di implementazione e una garanzia in termini di comunicazione al mercato: metodo e tecnologia funzionali a un cambiamento doveroso, oggi, anche per legge.