Negli ultimi anni, si è sentito molto parlare di benessere organizzativo e welfare aziendale, spesso in relazione alla strategia di sostenibilità (vera o presunta) perseguita dal management. Conosciamo davvero, però, l’impatto che questi concetti hanno sul funzionamento delle imprese e sulla comunità dove queste operano?
Per rispondere, bisognerebbe parlare con gli imprenditori e con i lavoratori e chiedere anzitutto a loro cosa ne pensano.
“C’è un aspetto che non può prescindere dal quesito e che fa la differenza”, spiega Francesca Rulli, CEO e Founder di Process Factory/4sustainability®: “Mi riferisco alla cultura che su certe tematiche si respira nelle aziende, a partire dai vertici. La vera sfida sta proprio qui, nel creare e diffondere una cultura aziendale capace di riconoscere l’importanza che un ambiente di lavoro inclusivo, equo e attento alla conciliazione vita privata – vita lavorativa dei propri collaboratori ha sul loro senso di appartenenza e sulla loro efficienza. Anche le relazioni con i fornitori devono essere improntate alle stesse logiche di correttezza ed equità. Al centro, sempre e comunque, deve esserci la persona: parlare di strategia di sostenibilità, altrimenti, non ha senso”.
Il tema è trasversale: si applica alle imprese della filiera moda e a tutte le organizzazioni del privato e del pubblico, a prescindere dal settore di appartenenza, dalle dimensioni e dalla dislocazione geografica. Lavoratori più soddisfatti e appagati saranno in ogni caso cittadini più sereni e collaborativi.
In questa sfida culturale, ognuno deve fare la propria parte, il che non è esattamente banale. In Italia, per esempio, scontiamo ancora molto il retaggio della contrapposizione e della distanza tra vertici aziendali e lavoratori, senza capire davvero che in questa partita non devono esserci pregiudizi. L’obiettivo è comune e l’unione fa sempre la forza. Le aziende innovative e lungimiranti – che poi, guarda caso, sono anche quelle che performano meglio… – lo hanno capito.
Nel comparto tessile e moda, volendo stringere l’obiettivo, il modello d’impresa è ancora per lo più quello tradizionale, ereditato da un passato neanche troppo lontano. Un modello che le nuove generazioni sono chiamate a scardinare improntando all’etica la cultura aziendale e le regole stesse della competizione, a maggior ragione in un’organizzazione a distretti com’è quella del fashion in Italia.
I profondi cambiamenti del mondo del lavoro
Di recente, abbiamo assistito a un mutamento del contesto sociale ed economico davvero rilevante.
È cambiato l’assetto del modello familiare, con una maggiore condivisione dei ruoli; è cambiata la prospettiva del mondo del lavoro, sempre meno legata alla cultura del cosiddetto posto fisso; è cresciuta la percezione dell’importanza della responsabilità sociale delle imprese; è aumentata la complessità dei mercati e sono aumentati anche i ritmi di vita che hanno fatto emergere un maggior bisogno di conciliazione tra vita lavorativa e vita privata. Inoltre, le nuove leve sono sempre più attente agli aspetti qualitativi del lavoro, oltre che agli aspetti prettamente remunerativi.
Tutto questo ci pone davanti al bisogno di pensare a una nuova organizzazione del lavoro caratterizzata da una maggiore flessibilità degli orari e degli spazi, da una maggiore collaborazione e dalla condivisione degli obiettivi, da relazioni fondate sulla fiducia e la responsabilizzazione delle persone, piuttosto che sul controllo.
Anche il concetto di retribuzione deve essere coerentemente rivisto, in modo da prendere in considerazione non solo l’aspetto monetario, ma anche quello dei benefici connessi e della realizzazione personale.
Welfare aziendale: occhio agli abusi
Esistono solo due modi di fare welfare nelle aziende: uno che funziona e uno che non funziona. La differenza, solitamente, sta nell’approccio culturale al progetto.
I progetti di welfare che non funzionano – che non funzionano più, almeno – sono di prassi quelli decisi dalla direzione delle aziende senza un processo partecipativo e di vero ascolto, sono quelli che considerano come unica area di intervento la sfera dei servizi ai lavoratori, spesso non adeguatamente comunicati e valorizzati all’interno delle organizzazioni.
I progetti di welfare che funzionano sono quelli in cui la proprietà/direzione agisce da sponsor intellettuale e a cui i lavoratori partecipano attivamente e costantemente; sono quelli che individuano le leve strategiche di azione in più ambiti (cultura aziendale, organizzazione, servizi alla persona e sul luogo di lavoro, ambiente di lavoro e finanza…) e che sono adeguatamente comunicati e valorizzati.
“I progetti vincenti – puntualizza la Rulli – sono quelli strutturati: non l’iniziativa spot, non il bonus una tantum, ma un piano di interventi sistemico da portare avanti nel tempo e misurare per poterne dare evidenza anche al mercato, oltre che alle proprie risorse”.
Non basta l’esempio virtuoso
Era il 1946 quando Adriano Olivetti portò nelle sue aziende bellezza, cultura e benessere, dimostrando che si può fare impresa occupandosi delle persone che ci lavorano, pensando anche alla loro vita al di fuori del lavoro – scuola, salute, formazione continua… – e, soprattutto, valorizzando i talenti, dando spazio alla creatività individuale e di gruppo. Il tutto con un ritorno sorprendente di sviluppo e innovazione.
È un esempio noto, fra gli altri possibili, a significare che le esperienze felici di welfare aziendale, nel nostro Paese, ci sono state e ci sono anche oggi. La vera sfida, però, è passare da esempi virtuosi, legati a imprenditori visionari e illuminati, a un sistema produttivo in cui il benessere organizzativo sia considerato un fattore chiave della produttività e come tale gestito dal management in maniera sistematica, con metodo e visione.
La dimensione sociale della sostenibilità
Il Rapporto Brundtland, conosciuto anche come Our Common Future, è un documento pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) in cui viene introdotto per la prima volta il concetto di sviluppo sostenibile. “Lo sviluppo sostenibile – si legge – è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
È evidente come in questa accezione la sostenibilità debba essere intesa nelle sue tre dimensioni fondamentali: economico-organizzativa, ambientale e sociale. Ebbene, proprio la dimensione sociale è considerata la più strategica, perché senza attenzione al nostro capitale umano, in presenza di diseguaglianze e in assenza di coesione sociale, non possono realizzarsi la sostenibilità economica e quella ambientale.
Le aziende influenzano i propri dipendenti, la propria catena del valore, i clienti e le comunità locali ed è quindi fondamentale che si impegnino a gestire questi impatti in modo proattivo.
Le aziende possono contribuire alla realizzazione di ambienti e modalità di lavoro che stimolino la responsabilità, l’appartenenza e la motivazione per creare catene del valore sempre più inclusive. Possono inoltre collaborare con altre aziende per fare squadra e avere quindi un impatto positivo più consistente sulla comunità e sul business.
Il Consorzio Promozione Filati, che riunisce decine di aziende produttrici di filati per maglieria, è in questo senso un esempio eccellente.
Le aree del benessere organizzativo
Ma quali sono in concreto le aree su cui le imprese possono intervenire per introdurre o rafforzare il benessere aziendale all’interno della propria organizzazione, in coerenza con gli obiettivi di sostenibilità? Vediamole insieme.
Cultura
Per “Area Cultura” s’intende la sfera profonda del sistema valoriale di un’azienda. È l’area più intangibile e al contempo la più strategica in azienda perché ispira e caratterizza le azioni di tutti coloro che vi lavorano. Rientrano in quest’ambito le politiche di comunicazione, le azioni di responsabilità sociale, gli stili di leadership, le politiche di formazione, il sistema meritocratico.
Organizzazione
Per “Area Organizzazione” s’intende quell’insieme di regole e processi attraverso i quali un’azienda svolge le proprie funzioni e attività. È una leva strategica importante attraverso la quale favorire il tema della conciliazione tra vita privata e lavorativa e il benessere aziendale. Rientrano in quest’ambito le politiche di smart working, la flessibilità di orario, le politiche di part-time, le politiche di gestione ferie e congedi parentali, la gestione dei turni di lavoro.
Servizi
Per “Area Servizi” s’intende una serie di possibili iniziative volte a supportare il lavoratore sul luogo di lavoro o nel tempo libero. Rientrano in quest’ambito i servizi di assistenza fiscale e legale, la consegna in azienda di acquisti on-line o esami clinici, il disbrigo di pratiche burocratiche, i servizi di coaching, le proposte culturali e ricreative, eccetera.
Finanza
Per “Area Finanza” s’intende un sistema di supporto finanziario rivolto alle persone, anche per affrontare alcuni momenti particolari della vita. Rientrano in quest’ambito le convenzioni bancarie assicurative, i contributi all’acquisto di libri scolastici, le borse di studio per studenti meritevoli, i buoni pasto in assenza di un servizio mensa, le polizze integrative.
Ambiente di lavoro
Per “Area Ambiente”, infine, s’intende l’implementazione di iniziative rivolte al benessere psicofisico del lavoratore. Rientra in quest’ambito l’attenzione alla qualità degli spazi di lavoro – uffici con postazioni ergonomiche accoglienti, ben areati e temperati – e alla presenza di zone benessere come, ad esempio, una sala relax.
People 4sustainability®
Intervenire in queste aree, secondo Francesca Rulli, significa anche stimolare la creatività e l’attitudine all’innovazione delle persone, un supporto, questo, indispensabile per portare avanti il percorso di trasformazione avviato dall’azienda in ottica di sostenibilità: “Il protocollo People 4sustainability® per la crescita del benessere organizzativo si fonda non a caso sui parametri che abbiamo descritto, definendo il piano d’interventi realizzabili in azienda per aumentare performance e benessere delle risorse in una logica di miglioramento continuo.
Quali sono i punti di debolezza e quali gli aspetti positivi su cui costruire? Le persone si identificano nell’azienda e nel suo management? In che termini ne condividono le politiche di sostenibilità? Come misurare e monitorare nel tempo il livello di soddisfazione? Mettere le persone al centro significa dare risposta a tutte queste domande e tradurre poi le priorità individuate in soluzioni smart per affermare i temi del lavorare insieme come fattori distintivi di aggregazione”.