Riduzione degli sprechi, investimenti tecnologici, recupero e riciclo sono le parole chiave nella produzione delle filiere sostenibili. E un contributo importante possono darlo anche i consumatori attraverso le loro scelte di acquisto.

I temporali che si sono abbattuti in diverse regioni italiane verso la fine dell’estate, spesso violenti e dannosi per via della tropicalizzazione del clima, non sono affatto sufficienti per riparare i danni di una siccità di portata secolare. Tra gennaio e luglio, oltre il 40% della popolazione ha subito gli effetti della siccità; un quinto, invece, abita in zone affette da siccità severa o estrema di lungo periodo (fonte: Osservatorio Siccità dell’Istituto di Bioeconomia del CNR). Non si tratta soltanto di una condizione transitoria, ma di una chiara conseguenza dei cambiamenti climatici.

I numeri dell’emergenza siccità

Il 28% del territorio del Belpaese presenta segni evidenti di deterioramento, ha fatto sapere l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) in occasione della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione del 2022. Il Water Risk Filter del WWF stima che nel 2030 l’Italia sarà esposta a un rischio di scarsità idrica valutato in 2,96, in una scala che va da 1 (molto basso) a 6,6 (estremo); i punteggi però salgono visibilmente in vaste zone del Sud e delle Isole, con il 3,66 della Calabria, il 4,1 della Sicilia e il 3,74 della Sardegna.

Diventa quindi prioritario gestire in modo più ragionato ed efficiente la risorsa acqua, invertendo il trend che ha visto aumentare di sei volte l’uso globale di acqua dolce nell’ultimo secolo (fonte: Unesco). Sempre a livello globale, l’agricoltura è responsabile del 69% dei prelievi idrici, seguita dall’industria col 21% e dall’ambito civile e domestico con un altro 10%. Da solo, il settore tessile consuma 93 miliardi di metri cubi di acqua all’anno (fonte: Ellen MacArthur Foundation, “A new textiles economy. Redesigning fashion’s future”), di cui 335mila metri cubi l’anno solo in Italia (dati Istat).

La filiera moda e l’acqua

Diversi i processi della filiera moda che si caratterizzano per un forte fabbisogno idrico, in primis la pulitura delle materie prime e le varie fasi di risciacquo. Anche tintura e finissaggio sono fasi critiche, perché necessitano di fino a 125 litri d’acqua per kg di fibra (nel caso del cotone) e caricano l’acqua stessa di sostanze tossiche che, se non opportunamente filtrate e recuperate, rischiano di riversarsi nei fiumi e nei mari. Infine, servono imponenti quantitativi di acqua anche per il raffreddamento degli impianti.

Negli ultimi anni, l’innovazione tecnologica si sta focalizzando proprio sulla ricerca di soluzioni per ridurre il fabbisogno idrico , come solventi alternativi, macchinari più efficienti o sofisticati processi di filtraggio. Strade intelligenti per affrontare l’emergenza senza compromettere il livello delle performance.

L’approccio delle aziende 4sustainability

Tante imprese della migliore filiera italiana si stanno distinguendo per proattività. È il caso della biellese Tintoria e Finissaggio 2000 che già negli anni Settanta si è dotata di un efficace impianto di depurazione, sul quale ha investito a più riprese per migliorarne le prestazioni. La novità più recente consiste nell’integrazione di un’avanzata tecnologia per la microfiltrazione delle acque di scarico: una volta trattate, queste ultime vengono in parte recuperate e reinserite in altre lavorazioni interne, in parte restituite “pulite” all’ambiente. In termini di volumi, si parla di circa 100mila metri cubi di acqua depurata all’anno, con circa il 10% di acqua riciclata da depurazione. Difatti, pur appartenendo a un settore fisiologicamente costretto a fare un largo uso di sostanze chimiche, quest’impresa è stata la prima in Italia a raggiungere una valutazione eccellente nel protocollo per il chemical management di 4sustainability, il framework di implementazione e marchio registrato che garantisce le performance di sostenibilità della filiera del fashion & luxury.

Tra le circa duecento realtà che si sono affidate a 4sustainability c’è anche Creazioni Digitali, la prima impresa del distretto comasco a occuparsi di stampa digitale a sublimazione, l’unica in Italia ad adottare le innovative tecnologie di stampa della multinazionale israeliana Kornit Digital. I nuovi macchinari permettono da una parte di ridurre il consumo di acqua necessaria per la stampa dei tessuti e dall’altra di accorciare la filiera, concentrando diversi passaggi all’interno dello stesso impianto. Con numeri sbalorditivi, secondo gli studi associati: se paragonata alla normale stampa digitale, una stampa water smart permetterebbe di risparmiare 5.000 litri di acqua ogni 1.000 metri lineari di tessuto.

Altro caso eccellente, per l’approccio strategico alla razionalizzazione dei consumi idrici, è Gruppo Colle, il cui impegno possiamo riassumere in tre parole-chiave. La prima è controllo, per ridurre gli sprechi a tutti i livelli ottimizzando l’uso dell’acqua a quello che ogni processo effettivamente richiede (e non tutti i processi, né tutti i materiali, esigono gli stessi quantitativi per mantenere la stessa qualità di prodotto). Poi c’è la tecnologia, sulla quale Gruppo Colle investe costantemente collaborando con aziende leader nella produzione di impianti per tintorie come Loris Bellini e Laip: qui, i numeri dell’innovazione sono davvero importanti, se pensiamo che l’ultima generazione di macchine garantisce un risparmio di acqua tra il 30% e il 40%. La terza è recupero, praticato non solo a livello di azienda ma, intelligentemente, a livello di territorio. Il distretto pratese è un’eccellenza storica che fa scuola perché moltiplica i risultati, con il suo sistema integrato per la depurazione e il riciclo delle acque tra più estesi ed efficienti d’Europa.

Voce agli addetti ai lavori

L’emergenza siccità non è un tema solo ambientale”, sottolinea Francesca Rulli, Ceo e Founder di Process Factory e ideatrice del framework 4sustainability. “La correlazione con aspetti sociali e di governance rende la questione molto più complessa. Cerco di spiegarmi semplicemente. Per ridurre l’uso di risorse come l’acqua, la filiera ha bisogno di innovazione e volumi di produzione; per questo occorrono piani di sviluppo strutturati e supportati da aiuti finanziari, oltre a una distribuzione più equa lungo la catena del valore (brand, manifatture, lavorazioni conto terzi, eccetera). Allo stesso tempo, lo stile e il design devono convertirsi allo sviluppo di capi sostenibili avendo consapevolezza dell’impatto che ogni scelta adottata in fase di progettazione può avere sulla produzione e preferendo dunque materiali, processi e fornitori in grado di ridurre questo impatto, per esempio nell’uso dell’acqua. Le due dinamiche sono collegate: più la produzione si concentra su filiere sostenibili riconoscendone il valore, più i volumi garantiscono la capacità di investimento in innovazione”.

10 consigli per il consumatore responsabile

In questi mesi di emergenza siccità, anche i cittadini sono invitati a limitare gli sprechi, per esempio installando un riduttore di flusso nei rubinetti di casa, rimediando a eventuali perdite o riutilizzando l’acqua ove possibile. Esistono inoltre diversi stratagemmi per ridurre l’impronta idrica legata agli abiti che indossiamo. Rulli, che è anche autrice del libro Fashionisti consapevoli. Vademecum della moda sostenibile (Flaccovio Editore), ne propone dieci:

  1. Quando si fa il bucato a mano, raccogliere l’acqua nella bacinella lasciando aperto il rubinetto il minimo indispensabile.
  2. Quando si acquista una nuova lavatrice, controllare anche il consumo idrico annuo stimato: è indicato nell’etichetta energetica.
  3. Lavare il bucato a basse temperature: i detersivi e i macchinari più moderni garantiscono ottimi risultati anche a 30 o 40 gradi.
  4. Usare il tappo del detersivo come dosatore, limitandosi alla quantità consigliata nella confezione: il detersivo in aggiunta non serve per pulire meglio, perché sprecarlo?
  5. Avviare la lavatrice soltanto a pieno carico oppure, se i panni sono pochi, optare per il programma “mezzo carico”.
  6. Prendere in considerazione il lavaggio a secco per alcune tipologie di capi, come cravatte, completi maschili e cappotti.
  7. Mettere in lavatrice i capi solo quando sono effettivamente sporchi: secondo uno dei maggiori brand globali di denim, un paio di jeans può essere indossato almeno dieci volte prima di essere lavato!
  8. Tra le fibre sintetiche, prediligere la viscosa al poliestere: stando al Water Footprint Institute, infatti, la sua impronta idrica è inferiore.
  9. Quando si compra un capo di cotone, verificare che sia biologico (cercando l’etichetta GOTS o OCS) o riciclato (etichette GRS o RCS). Le coltivazioni convenzionali, infatti, vengono irrigate in modo massiccio per mantenere la produttività, oltre a fare uso notevole di pesticidi.
  10. Tenersi alla larga dall’usa e getta e allungare il più possibile la vita utile dei vestiti, riparandoli se si rovinano oppure rivendendoli quando non li indossiamo più da troppo tempo.

Abbiamo davvero bisogno di tutti gli oggetti che abbiamo nell’armadio? Sappiamo che il consumo d’acqua necessario a produrre quello che indossiamo cambia da prodotto a prodotto? Quante domande ci facciamo in fase di acquisto? I processi produttivi – sottolinea Rulli – si stanno evolvendo per ridurre gli impatti ambientali, ma è altrettanto essenziale che sempre più consumatori si abituino a reperire le informazioni necessarie per scegliere consapevolmente cosa e come acquistare, adottando comportamenti più responsabili anche nella manutenzione successiva all’acquisto. Quanti più consumatori diverranno esigenti nelle loro richieste al mercato, tanti più brand cambieranno il loro modo di produrre, orientandosi a una maggior sostenibilità ambientale e sociale”.