Non esiste, purtroppo uno standard unico per misurare le performance di sostenibilità di un’azienda a livello sia di processi che di prodotto, il che è un terreno fertile al proliferare di claim etici, certificazioni e attestazioni aziendali, etichette, certificazioni e attestazioni di prodotto.
Negli ultimi anni, tale fenomeno è letteralmente esploso, anche per l’interesse del mercato verso quelle che vengono percepite come patenti di credibilità e indici di buona reputazione. Un vantaggio competitivo, insomma.

Il percorso per accedere a questo vantaggio non è affatto banale, non solo perché presuppone l’adozione di comportamenti coerenti con precisi standard di natura ambientale, sociale ed economica, ma perché il difficile, per le imprese, comincia già a monte e cioè dal comprendere quale strumento, nella giungla di quelli esistenti, sia il più coerente con il proprio business e le proprie esigenze.

 

CHE DIFFERENZA C’È FRA LE DIVERSE STRADE E PERCHÉ INTRAPRENDERNE UNA PIUTTOSTO CHE UN’ALTRA?

La risposta a questa domanda è strettamente correlata agli obiettivi che l’azienda stabilisce per sé come prioritari, quindi il primo step è correlare gli strumenti agli obiettivi per scegliere con consapevolezza, agire di conseguenza e mettersi al riparo dai rischi del greenwashing.

Ben vengano l’iniziativa spot o la linea green che strizza l’occhio al consumatore, ma non è su questo tipo di progetti che si misura la sostenibilità di un’azienda”, spiega Francesca Rulli, Founder e CEO di Process Factory/4sustainability®. “In senso ancora più ampio, non esiste prodotto sostenibile senza azienda sostenibile: è la conversione delle strategie e dei processi a generare prodotti sostenibili, non il contrario”.

 

CERTIFICAZIONI E ATTESTAZIONI AZIENDALI

L’impegno deve svolgersi necessariamente su due fronti: da una parte l’implementazione di un sistema di gestione e rendicontazione improntato al rispetto dell’etica e dell’ambiente, dall’altra la certificazione dei prodotti.

Le certificazioni aziendali si basano su standard riconosciuti, sono rilasciate da enti accreditati e hanno come oggetto il sistema di gestione per il quale l’azienda ritiene strategico offrire una garanzia al mercato. Tra gli standard, citiamo la ISO 9001 per la Qualità, la ISO 14001 per l’Ambiente, la ISO 50001 per l’Energia, la SA 8000 per la Responsabilità Sociale.

Le attestazioni aziendali sono dichiarazioni volontarie o validate da enti terzi su performance di sostenibilità individuate dall’impresa come prioritarie ai fini della comunicazione e generalmente costruite sulla base di standard. L’attestazione aziendale per antonomasia è il Bilancio di Sostenibilità, che Process Factory realizza per esempio avendo quale riferimento lo standard internazionale GRI (Global Reporting Initiative).

 

ETICHETTE, CERTIFICAZIONI E ATTESTAZIONI DI PRODOTTO

Partiamo dalle etichette, che sono già di per sé un rompicapo. Tutto ciò che viene prodotto, in ogni fase del suo ciclo di vita, contribuisce in misura variabile al degrado ambientale. Un impatto che la Politica Integrata di Prodotto (IPP) adottata nel 2008 dalla Comunità Europea si propone di ridurre.

Data la molteplicità e la componente eterogenea degli attori coinvolti nei processi produttivi, la IPP ha generato un insieme di strumenti volontari e obbligatori utilizzabili per raggiungere gli obiettivi di riduzione e miglioramento ambientale. Le Etichette Ambientali sono uno di questi strumenti, così come definite dallo standard UNI EN ISO 14020 che ne fissa le caratteristiche e i requisiti per potersene dotare.

Le Etichette Ambientali si distinguono in tre grandi categorie, ognuna con i suoi vantaggi e le sue criticità.

TIPO 1: UNI EN ISO 14024:2018

Eco Label, Der Blaue Engel, White Swan, Green Seal USA, Eco-Mark Giappone sono alcuni esempi tra i più noti. Appartengono alla categoria delle Etichettature Ambientali a Scopo Prestazionale. Accompagnano il prodotto e garantiscono il rispetto di alcuni limiti di soglia stabiliti dal soggetto che gestisce il marchio, prevedendo una verifica da parte di soggetti terzi. Hanno lo scopo di comunicare al consumatore il rispetto delle performance ambientali in modo “assoluto”.
In senso lato, possiamo far rientrare in questa famiglia anche le certificazioni/etichette legate alle materie prime utilizzate e ai processi di lavorazione adottati, tra cui le certificazioni biologiche GOTS e OCS, le certificazioni di prodotto riciclato GRS e RCS, la certificazione FSC per la protezione delle foreste, le certificazioni per allevamenti sostenibili RWS e RMS.

TIPO 2: UNI EN ISO 14021:2016

Ne è un esempio il Ciclo di Mobius utilizzato nel simbolo del contenuto riciclato e in quello indicante riciclabilità. Sono definite come Asserzioni Ambientali Auto-Dichiarate, appartenenti alla categoria delle etichettature a Scopo Informativo. Sono prodotte autonomamente dai fabbricanti, importatori o distributori, senza cioè bisogno di certificazioni di parte terza. Hanno lo scopo di comunicare ai consumatori i miglioramenti ambientali dei prodotti.

TIPO 3: UNI EN ISO 14025:2010

Rientrano nel Tipo 3 il JEMAI (Japan Environmental Management Association for Industry) e la ECO LEAF, nonché le certificazioni/etichette ambientali di tipo EPD (Environmental Product Declaration) e PEF (Product Environmental Footprint). Appartengono alla categoria delle Dichiarazioni Ambientali di Prodotto a Scopo di Valutazione completa. Presentano informazioni ambientali quantificate sul ciclo di vita di un prodotto, calcolate attraverso la metodologia Life Cycle Assessment (LCA). Possono essere utilizzate anche per confronti tra prodotti con la medesima funzione. Sono sottoposte a un controllo indipendente e sono confrontabili con gli standard ufficiali di riferimento.

Le attestazioni di prodotto, infine, sono dichiarazioni volontarie o validate da enti terzi che danno evidenza del contenuto di sostenibilità di un dato prodotto.

 

CLAIM ETICI

E veniamo al claim etico, uno slogan adottato dalle aziende per enfatizzare le caratteristiche di sostenibilità – ambientale ma anche sociale ed economica – di propri prodotti o iniziative. Possono ricorrervi produttori, importatori, distributori… senza limitazioni né territoriali né di applicazione, perché oltre a prodotti e servizi, il claim etico può riferirsi anche all’azienda stessa per comunicarne l’inclusività o il non ricorso al lavoro minorile.

Kilometro zero, Cruel free, Fatto a mano, 100% green sono alcuni esempi fra i più sentiti. Peccato che si tratti spesso di affermazioni imprecise o ingannevoli: insomma, un esercizio consapevole o meno di greenwashing.

Per ridurre questi rischi è stata pubblicata di una specifica norma internazionale, la ISO/TS 17033, che definisce principi e regole per etichette più chiare, trasparenti e verificabili. Questo significa che certi messaggi non saranno più ammessi, da ora in avanti, se non accompagnati da prove della loro veridicità.

Tenersi aggiornati sulle opportunità esistenti e sulle ultime novità non è banale nemmeno per chi, come noi, si occupa da sempre di sostenibilità”, sostiene Rulli. “A priori non esiste un’iniziativa migliore delle altre in termini di efficacia e trasparenza, ma è evidente che occorre armonizzare e semplificare: non c’è chiarezza nel caos, mentre pochi strumenti condivisi avrebbero anche il vantaggio di favorire la conversione di tante aziende grazie all’adozione di uno stesso standard comprensivo di un maggior numero di requisiti”.