di Francesca Rulli
L’industria della moda è tra le più inquinanti del pianeta. Da anni, tutti i settori più impattanti hanno avviato una metamorfosi che purtroppo è ancora troppo lenta e applicata in modo disomogeneo. In questo momento storico, i brand del fashion & luxury hanno una grande responsabilità, che secondo me è anche un’opportunità preziosa: utilizzare il loro modo di progettare e produrre per testimoniare la transizione in atto, stimolando il consumatore verso scelte di acquisto consapevoli che possano contaminarne lo stile di vita nella sua accezione più ampia. Insieme, brand e istituzioni hanno in mano il potere effettivo di accelerare la trasformazione.
Molte aziende della filiera italiana hanno avviato iniziative interessanti di trasformazione del sistema produttivo per ridurre il proprio impatto ambientale e sociale. Le più avanzate spaziano dall’eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive dai cicli di produzione al miglioramento della sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro, alla tracciabilità dei processi e alla sostituzione di materie prime con alternative più sostenibili, fino alla riduzione d’impatto della fabbrica.
La pandemia ha favorito il moltiplicarsi di questo tipo di progetti e le nuove normative come la EU Due Diligence Legislation, il NY Social Accountability Act o il pacchetto di misure della Commissione Europea che vede come osservato speciale proprio il settore moda renderanno questa tendenza ancora più diffusa e strutturata.
Una transizione complessa
L’auspicata metamorfosi green e social del sistema moda è ad alto tasso di complessità, ma la strada è tracciata, l’investimento inevitabile e i ritorni – per chi già si è mosso – cominciano a farsi vedere in termini sia di business che di riduzione degli impatti ambientali, oltre che di attrazione di competenze e talenti per l’innovazione.
Il valore dell’investimento dipende soprattutto dal DNA e dalla complessità del “viaggio” che si vuole intraprendere. Il primo step della metodologia 4sustainability®, non a caso, è un’analisi iniziale di sostenibilità: facciamo una fotografia della situazione di partenza per definire punti di forza e di debolezza e, quindi, le priorità di intervento (4sustainability Assessment).
Ci sono aziende dal DNA già ben orientato: processi efficienti, persone soddisfatte, fabbricati e impianti a basso impatto ambientale, sistemi di compensazione, uso di chimica sostenibile, tracciabilità della produzione e ingaggio della filiera a monte. In termini di supporto, l’investimento è comprensibilmente più semplice e mirato a sistematizzare l’approccio e rendere trasparente la misurazione dei dati di performance.
Se bisogna procedere invece alla revisione dei processi industriali, al rinnovo dei relativi macchinari e via dicendo, l’impegno sarà chiaramente superiore. L’investimento indiretto che vale però la pena evidenziare è quello relativo alla cultura d’impresa, che va costruita e alimentata per potenziare le azioni di riduzione di impatto ambientale e sociale.
Recupero, riuso, riciclo… A che punto siamo?
L’economia circolare è un territorio in larga parte inesplorato. Anche in Italia, non mancano progetti apprezzabili di recupero e riciclo e penso in particolare a eccellenze storicizzate come il distretto di Prato. Sul riutilizzo degli scarti di produzione, in particolare, registriamo le iniziative più evolute, ma i grandi volumi si fanno sui prodotti invenduti, come suggeriscono le evidenze sull’over production e i prodotti post-consumer che sono “esplosi” di pari passo con il fast e l’ultra fast fashion.
La sfida, oggi, è diffondere e radicare le buone pratiche, strutturando filiere capaci di gestire correttamente i volumi di produzione con normative chiare e controllate. In attesa di questa evoluzione, hanno trovato spazio sistemi di certificazione e tracciabilità come lo standard GRS di Textile Exchange ormai largamente applicato nel settore.
Tutto ciò premesso, è imperativo allungare il ciclo di vita del prodotto e questo si può fare solo se, fin dalla fase creativa, dalla sua ideazione, si riescono a individuare caratteristiche di durabilità, riuso e riciclo e solo se in produzione si utilizzano filiere in grado di dimostrare la propria natura sostenibile.
Fondamentale tracciare
Nella transizione del sistema moda – o metamorfosi, come preferisco definirla – la tracciabilità è centrale perché applicare un modello di produzione sostenibile vuol dire passare da una logica di controllo di prodotto a una logica di trasparenza del processo: dal “cosa produco” al “cosa produco + come lo produco”.
Il modello di produzione attuale è molto frammentato e le geografie e culture interessate sono estremamente diverse. Affermare un modello produttivo che sia capace di garantire performance ambientali e sociali, quindi, vuol dire prima di tutto mappare tutti i processi e tutti i passaggi necessari per attivare a ottenere il prodotto finito e procedere quindi alla raccolta dati e alla verifica delle iniziative e performance di sostenibilità per i vari step.
Senza tracciabilità – intesa come capacità di intercettare tutti i processi-chiave per l’ottenimento del prodotto finito, partendo dalla materia prima – non sarà possibile raccontare attraverso il prodotto una storia autentica di sostenibilità e non sarà possibile per il brand affermare di avere una filiera sostenibile.
4sustainability ha esattamente questo obiettivo: è un sistema di raccolta dati di sostenibilità di filiera basato sui 6 temi rilevanti per il settore e supportato da una piattaforma attraverso la quale ogni anello della filiera produttiva può dare evidenza delle sue performance di sostenibilità, permettendo ai clienti – brand compresi – di connettersi al dato. Questo consentirà di stabilire sistemi produttivi sostenibili perché capaci di misurarsi e condividere percorsi di miglioramento in modo trasparente.
Abbracciare il cambiamento
Una produzione concretamente orientata alla sostenibilità e ai suoi principi ha ritorni che non attengono semplicemente all’immagine e/o alla buona reputazione.
La sostenibilità conviene perché l’analisi dei processi, che è uno dei suoi fondamenti, porta quasi sempre a ottimizzarli e quindi a migliorare in efficacia ed efficienza.
La sostenibilità conviene perché aumenta l’affidabilità percepita e misurata da parte del mercato, perché crescono i rating di sostenibilità a tutti i livelli della catena del valore e perché il cliente si fidelizza.
La sostenibilità conviene perché cresce anche la capacità di attrarre talenti e risorse finanziarie, come effetto della valutazione positiva che danno gli stakeholder delle logiche ESG (Environmental, Social e Governance) o dei progetti strutturati ad esse riconducibili, oltre che al merito dei sistemi creditizi. Anche solo limitandosi a questi tre filoni, integrare la sostenibilità nelle proprie strategie di sviluppo è una scelta virtuosa sotto tutti i punti di vista.
Made in Italy e sostenibilità
Nel sentire comune, il Made in Italy è sinonimo di artigianalità senza tempo, di tradizione e materie prime d’eccellenza, di legame con il territorio, di rispetto e amore per la bellezza. È sinonimo anche di sostenibilità?
Il know how in Italia abbonda, così come la creatività e l’orientamento all’innovazione. Un altro punto a favore sono le normative in materia ambientale e sociale, tra le più avanzate al mondo. Ci sono fronti, però, su cui dobbiamo crescere ancora tanto e mi riferisco soprattutto all’agire con metodo, alla pianificazione, alla misurazione e alla trasparenza delle performance, al livello di managerialità delle nostre aziende, al numero delle donne in ruoli direttivi. Il sistema 4sustainability si inserisce qui, nel supportare l’implementazione di iniziative-chiave per la creazione di modelli di produzione sostenibili e incoraggiare le imprese a comunicare le proprie performance ambientali e sociali in quanto qualificanti per il mercato e gli stakeholder.
Lo scenario post pandemia
La crisi di sistema che la pandemia ci ha palesato con una violenza straordinaria ha avuto almeno un vantaggio: quello di rafforzare la consapevolezza delle imprese e del consumatore sull’importanza vitale delle questioni ambientali e sociali.
Vogliamo davvero farci condizionare ancora dai media e continuare a sentirci “qualcuno” in base a ciò che possediamo e in base alla quantità di oggetti che entrano nei nostri armadi? Vogliamo, in tutta coscienza, riprendere a produrre senza preoccuparci delle persone che lavorano per noi, della loro formazione, delle loro aspettative di crescere professionalmente sulla base del merito, avendo accesso a un’equa retribuzione? Vogliamo sprecare ancora le risorse d’acqua e di energia e seguitare a produrre rifiuti che non sappiamo più dove mettere? Ci sentiamo tranquilli al pensiero di usare, più o meno consapevolmente, sostanze chimiche nocive per la salute e per l’ambiente? Dove ci hanno portato, finora, questi comportamenti? Che soddisfazione ci danno?
Ecco, oggi esistono le tecniche, le metodologie e le azioni da mettere in campo per fare business diversamente. Credo che ognuno di noi, oggi, abbia la possibilità di dare il suo piccolo o grande contributo per affermare un nuovo modello di sviluppo. Dobbiamo solo metterci la testa e la volontà.