Kering, Theory, Hugo Boss, Fendi, Burberry, Bulgari, Max Mara, Benetton, Stefano Ricci, Philipp Plein, Peuterey… E poi le eccellenze italiane della filiera moda.
A riunirle tutte, il 30 novembre, è stata la Quinta Conferenza Annuale di 4sustainability, occasione di dibattito sempre più importante, a livello nazionale, per i temi della sostenibilità nella moda, organizzata a Firenze da un network come 4sustainability capace di accreditarsi anche oltre confine grazie alle sue competenze specialistiche in materia.
Il titolo dell’edizione 2017 – Questione di business – vale come un manifesto: la sostenibilità non fa bene solo al pianeta, ma genera valore, è un volano per l’innovazione e la competitività, un treno che le aziende faranno bene a prendere al volo, se vogliono restare sul mercato, perché quelle che sono a bordo da un po’ hanno acquisito già un bel vantaggio sulla concorrenza.
A dirlo sono i numeri, sui quali brand e imprese della catena di fornitura si sono confrontati forti di nuove consapevolezze.
La prima, fra le altre, è che bisogna fare squadra perché i cambiamenti strutturali non si improvvisano. Ha un valore quasi simbolico, in questo senso, la presenza nel panel degli oratori di Christina Raab, Implementation Manager di Zero Discharge of Hazardous Chemicals e prima testimone dell’impegno dei brand riuniti sotto l’egida di ZDHC per la riduzione delle sostanze chimiche in produzione.
Un’altra consapevolezza importante riguarda il ruolo strategico che l’industria globale della moda ha di fatto assegnato all’Italia in ragione della sua unicità. In quale altro paese si producono tessuti continuativamente da 700 anni? Quale altro territorio può vantare una concentrazione simile di manifatture di qualità?
È uno dei temi più interessanti della tavola rotonda che ha animato la parte centrale della Conferenza e a cui hanno preso parte Paolo Mascii (director of Fabric Quality di Theory), Chiara Morelli (Group Operation Sustainability Manager di Kering), Andrea Crespi (CEO di Eurojersey), Giancarlo Carlesi (AD del Lanificio dell’Olivo), Marco Rivetti (Responsabile Prodotto del Lanificio Ricceri) e gli imprenditori Matteo Mantellassi e Riccardo Matteini, soci, rispettivamente di Manteco e Gruppo Colle.
Un confronto aperto dal quale sono emerse le difficoltà della filiera e quelle dei brand nel rapportarsi le une con gli altri, ma anche le storie di successo che dimostrano a suon di numeri come un percorso ben pianificato, realizzato e comunicato abbatta gli sprechi di energia e l’impatto della produzione sull’ambiente, massimizzi i ritorni – non solo a livello di reputazione, ma anche di fatturato – e produca un gradito effetto contagio.
Alcuni numeri eloquenti li ha forniti su questo aspetto Francesca Rulli, Partner e Sustainability Manager di Process Factory, sottolineando come per ogni impresa che avvia nel concreto un percorso di sostenibilità decine di altre della catena di fornitura si muovono: le più attrezzate (anche culturalmente) da sole, le altre adottando un protocollo come quello 4sustainability incentrato sull’innovazione di prodotto e di processo, sull’organizzazione e sulle persone.
Altro spunto interessante lo ha offerto l’intervento di apertura di Francesca Romana Rinaldi, docente di CSR in Fashion & Luxury dell’Università Bocconi. Tutti i dati ci dicono che quello della sostenibilità nel fashion è un trend strutturale, con i consumatori primi artefici del cambiamento grazie a comportamenti d’acquisto sempre più responsabili. L’industria della moda – rimarca ancora la Rinaldi – è seconda solo a quella petrolifera per danni da inquinamento, a causa dell’utilizzo massiccio di risorse idriche ed energetiche e di sostanze chimiche nocive (EcoWatch 2015).
Da Giuditta Passini e Giovanni Graziani, specialisti in sostenibilità di Process Factory, apprendiamo che rispetto a 15 anni fa il consumatore medio acquista il 60% di capi in più tenendoli per circa la metà del tempo.
Nel futuro, il consumo di abbigliamento e calzature aumenterà dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102 milioni nel 2030, portando a +50% il consumo di acqua e a +60% le emissioni di anidride carbonica e la produzione rifiuti.
E allora, ciò che possiamo ricavare dal combinato di questi dati è che le imprese devono adottare comportamenti più sostenibili, perché alternative non ce ne sono. Una strada è quella del riciclo già percorsa da diversi brand e start up del fashion. Un’altra è quella della ricerca sulle materie prime e sull’innovazione di prodotto e di processo, che poi è la vera, grande opportunità offerta alle imprese dalla sostenibilità: uno stimolo a reinventarsi, a proporre sul mercato nuovi prodotti e nuove soluzioni che i consumatori hanno dimostrato non solo di gradire, ma di esigere.